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Quanta fretta, cari compagni …


Il micidiale editoriale apparso oggi su Avvenire, dedicato all’esito della direzione nazionale dei ds, segna probabilmente una svolta nell’atteggiamento della Chiesa verso il maggiore partito di opposizione. Ciò che colpisce di più in questo attacco frontale, comunque, non è la sua vis polemica—che pure è inusitata per un giornale che solitamente si scompone solo quando sono in gioco questioni attinenti la bioetica e le scelte legislative conseguenti—ma la qualità dell’apparato argomentativo, dotato di una forza di persuasione che non fa leva su quelle che potremmo definire “logiche di schieramento.” L’editoriale, per intendersi, non è né di destradi sinistra, ma è sicuramente molto ben attrezzato sotto il profilo dell’analisi etico-politica. E’ una lezione di politica impartita con severità a un gruppo dirigente ritenuto irrimediabilmente dimentico sia di cosa rappresenta la politica, nel senso più nobile del termine, sia della differenza tra l’etica e un moralismo che pretenderebbe di ridurre la morale ad una pura e semplice “questione di soldi.”
 
A mio avviso è un atto di accusa che—fermo restando tutto ciò che ho cercato di esprimere nei post precedenti, prudenza compresa (nel sentenziare) e rifiuto di osservare le questioni da un solo punto di vista—mi sento di sottoscrivere pienamente. Ecco il passaggio che mi sembra più interessante (è la conclusione dell’articolo):
  
Avevano l’opportunità per ricordare di non essere i soli politici a essere lambiti dalla limacciosa ondata di sospetto sol levata dalle manovre intorno ad Antonveneta e a Bnl. E si sono sforzati di glissare, per associarsi il meno possibile al fango e agli infangati. Avevano una tribuna per rivendicare di essere, qualunque cosa abbia fatto questo o quel compagno, un «partito sano». E l’hanno usata con una foga che è diventata fretta. Ma, soprattutto, avevano un’occasione preziosa per avviare una riflessione non di maniera sulla crisi in cui sono immersi. E, purtroppo, l’hanno mancata, ammettendo in sostanza di aver commesso solo «errori di analisi». Quasi che si trattasse di un lavoro da broker e non da dirigenti politici.
I capi dei Ds sembrano, insomma, aver deciso che la questione morale è circoscrivibile in senso stretto al fattore «soldi». E hanno sentenziato di non averne intascati. Meglio così. Anche se per questo arrivano a dire che, per loro, «la questione morale non esiste». Ma quella dei soldi circolati è solo una faccia del problema (e non tocca certo a noi, qui e ora, indagare e giudicare su chi e per quali vie li ha maneggiati).
È infatti questione morale anche l’uso che si fa del potere. L’idea che si ha della politica. I valori posti ad argine dell’agire politico proprio e altrui. In altre parole, è questione morale la dignità della politica al cospetto degli altri poteri, la sua arroganza (ieri) o la sua remissività (oggi) rispetto alle centrali economiche – o alle formazioni sociali – percepite come più vicine o anche solo come più forti e dinamiche. È questione morale la capacità di governare e correggere o, invece, la propensione ad assecondare la deriva deregolatrice che tende a investire settori e istituti chiave minando la solidità e la solidarietà del corpo sociale. È un fatto: quando la retorica e la prassi della deregulation pretendono di sbullonare un sistema di valori, tutto può sembrare possibile, niente appare troppo spregiudicato. Ed è appunto per questo che certe scalate diventano rischiose chine.
Categorie:interni
  1. anonimo
    13 gennaio, 2006 alle 10:18

    bene. Approfondirò quando avrò finito il lavoro. Intanto puoi andarti a leggere le mie 5 strane abitudini…

    Daisy M.

  2. anonimo
    13 gennaio, 2006 alle 11:38

    Bene? Male vorrai dire!
    Ho visto, ma preferirei non aver letto–quanto invidio, ahimè, quelli che hanno una memoria di ferro …

  3. anonimo
    13 gennaio, 2006 alle 11:39

    Ero io …
    wrh

  4. anonimo
    13 gennaio, 2006 alle 12:37

    se non altro compensa il mio amore x l’ultimo minuto…

    daisy

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