Come la piaga del pensiero unico ha distrutto uno dei network più affidabili

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTCICOQUOTIDIANO del 13/4/2024:

Cari amici, lettori e colleghi della NPR, vi spiego come il nostro amatissimo network ha perso la sua stella polare e, soprattutto, la fiducia degli americani. Questo è il succo di un lungo articolo che sta spopolando in questi giorni sui social media americani, rimbalzando da una bacheca a un’altra, tutte rigorosamente d’area conservatrice e libertaria, come soltanto certi scritti corsari riescono a fare.

Non è il primo caso di clamorosa dissociazione pubblica dal mainstream giornalistico d’oltreoceano, né sarà l’ultima, ma di sicuro è un colpo assestato con rara precisione e ferocia intellettuale, tanto più eclatante in quanto proveniente da un liberal con pedigree insospettabile e non dal solito conservatore frustrato. Lui risponde al nome di Uri Berliner, ed è da 25 anni un redattore e reporter presso la NPR (National Public Radio), uno dei maggiori network radiofonici statunitensi.

Da notare che la NPRnetwork indipendente e non profit, rispetto ad altre organizzazioni consimili ha in più un elemento distintivo altamente significativo, almeno in teoria: è stato fondato (nel 1970) in forza di una legge del Congresso degli Stati Uniti, il Public Broadcasting Act del 1967. Insomma, si tratta di un network che dovrebbe avere nel Dna l’obiettività, l’onestà intellettuale e il rispetto delle opinioni di tutti, non foss’altro che per l’aggettivo “pubblico” che fa parte della sua stessa denominazione.

E invece, manco per niente. Anzi, tutto il contrario, come vedremo. Interessante, inoltre, la scelta della testata per il J’accuse di Uri BerlinerThe Free Press, una nuova realtà editoriale “costruita sugli ideali che un tempo erano il fondamento del giornalismo americano: onestà, tenacia e fiera indipendenza”. Ormai la verità, in America, circola quasi soltanto nella semi-clandestinità di questi samizdat del nostro tempo: American Greatness (del grande Victor Davis Hanson), American Thinker, etc.

L’involuzione di NPR

“È vero che la NPR ha sempre avuto un’inclinazione liberal”, scrive Berliner, “ma durante la maggior parte del mio mandato qui ha prevalso una cultura curiosa e di mentalità aperta. Eravamo nerd, ma non sapientoni, attivisti o fustigatori a senso unico. Negli ultimi anni, tuttavia, la situazione è cambiata. Oggi, coloro che ascoltano NPR o ne leggono la versione online trovano qualcosa di diverso: la visione del mondo distillata di un segmento molto piccolo della popolazione statunitense”… [CONTINUA A LEGGERE]

Categorie:america, informazione

Ucraina e Occidente in un vicolo cieco

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTCICOQUOTIDIANO del 25/3/2024:

Il sasso in piccionaia, per così dire, l’ha lanciato quel discolo di Emmanuel Macron, quasi un mese fa. E da allora più di qualche sepolcro imbiancato si è ritrovato un po’ meno bianco, con non poco imbarazzo, almeno da parte di chi tiene alle forme e al bon ton. L’episodio lo ricordiamo tutti: è quando Macron dichiarò al mondo che lui si rifiutava, più o meno categoricamente, di escludere l’invio di truppe di terra in Ucraina – boots on the ground, secondo la dizione inglese, espressione che significa all’incirca andare a ficcarsi in un conflitto fino al collo e col rischio di romperselo (il collo).

Infatti, le sue parole erano ben oltre la “linea rossa” sia europea che americana in materia di intervento diretto sul terreno in quel martoriato Paese. E come c’era da aspettarsi, diversi Paesi Nato, tra cui gli Stati Uniti, la Germania e il Regno Unito, si sono affrettati ad escludere tale eventualità. La “via verso la vittoria” è fornire aiuti militari “così che le truppe ucraine abbiano le armi e le munizioni di cui hanno bisogno per difendersi”, si legge in una nota della Casa Bianca. Allo stesso modo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il portavoce del primo ministro britannico Rishi Sunak e l’ufficio del presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, hanno ribadito l’impegno concordato a sostenere l’Ucraina senza includere la presenza di truppe di Paesi europei o della Nato sul territorio ucraino.

Tre motivi per preoccuparsi

Tuttavia, queste dichiarazioni hanno tranquillizzato fino a un certo punto l’opinione pubblica, e chi temeva un’evoluzione malefica della situazione ha dovuto prendere atto che gli scenari meno augurabili si vanno profilando sempre più nitidamente all’orizzonte. La guerra nucleare (o la Terza guerra mondiale), in altre parole, sta diventando sempre più un esito probabile del conflitto.  

Da allora, da quel 26 febbraio, le cose non sono cambiate più di tanto, se non per il fatto che è aumentata la consapevolezza del rischio di far precipitare il mondo nella Terza guerra mondiale. Ciò soprattutto grazie a tre fattori. Il primo è il cosiddetto Triangolo di Weimar. “Oggi abbiamo concordato una serie di priorità, tra cui l’acquisto immediato di un numero ancora maggiore di armi per l’Ucraina sull’intero mercato mondiale”, ha annunciato il cancelliere tedesco Olaf Scholz al termine di un incontro, tenutosi il 15 marzo, con il presidente francese e il primo ministro polacco, Donald Tusk, riferendosi… [CONTINUA A LEGGERE]

Il Canto delle Cattedrali

4 febbraio, 2024 Lascia un commento

Gli Inni cristiani d’occidente, monumenti poetici la cui bellezza ha illuminato secoli di cristianità. E il canto gregoriano, nel quale gli Inni si esaltano e diventano immortali.

Un articolo che parla di un libro che ha un prezzo non incoraggiante (€90). L’articolo è di Antonio Socci, che cita il grande musicologo Massimo Mila e Joris-Karl Huysmans: le loro magnifiche definizioni del gregoriano. Per dare un’idea:

In questa stessa astrazione da tutto ciò che è bassamente reale, umano, logico, il gregoriano trova la sua nobiltà sublime che lo fa planare al di sopra di ogni esperienza musicale profana del tempo. Grazie a tali caratteristiche può ben dirsi la parafrasi mobile e aerea dell’immobile struttura delle cattedrali. (Huysmans)

Insomma, una perla. Se sapete di cosa sto parlando non perdetelo.

Categorie:Uncategorized

Il collasso della cultura americana: il prezzo dell’agenda progressista

15 gennaio, 2024 Lascia un commento

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTCICOQUOTIDIANO del 15/2/2024:

O America, cosa hai fatto, che ti è saltato in mente? Come hai potuto? Questo è il succo di una riflessione che vede fosco sul presente nonché sul futuro degli Stati Uniti. Autore è una vecchia conoscenza di queste pagine: Victor Davis Hanson, illustre classicista nonché appassionato commentatore politico statunitense, celebrato soprattutto da quella parte del mondo conservatore americano più inviso all’establishment di Washington, D.C.

L’analisi di Hanson è zeppa di riferimenti a fatti e misfatti di varia natura e gravità: avvenimenti, decisioni, figuracce, tradimenti, voltafaccia, ecc. Protagonisti: l’amministrazione Biden, il Partito Democratico e l’intero movimento progressista e liberal americano.
Esteri e difesa
Il cahier de doléance include innanzitutto figuracce internazionali tipo: la vergognosa fuga dall’Afghanistan, con il conseguente e inspiegabile abbandono nelle mani dei terroristi talebani di miliardi di dollari in munizioni ed attrezzature; l’aver permesso a un pallone spia cinese di attraversare impunemente gli Stati Uniti; l’aver consentito alle milizie filo-iraniane di attaccare quasi quotidianamente le installazioni americane all’estero e le navi nel Mar Rosso, a quanto sembra senza timore di ritorsioni; infine l’impotenza più totale di fronte all’orrendo massacro di israeliani il 7 ottobre scorso.
Il settore militare è anch’esso scrutato con attenzione dal prof. Hanson (peraltro esperto proprio di storia militare). Hanson si domanda perché il Pentagono abbia rivoluzionato l’intero sistema di reclutamento, promozione e permanenza in carica nelle forze armate, in gran parte in base alla razza, al genere e all’orientamento sessuale anziché sul merito o sull’efficacia sul campo di battaglia.
In sintesi, l’amara conclusione di VDH è che “gli Stati Uniti o subiranno una rivoluzione militare simile a quella del Vietnam oppure, secondo lo stile tardo-imperiale romano, le nostre forze armate non saranno in grado di difendere gli interessi o addirittura la sicurezza stessa degli Stati Uniti”.

Razzismo nelle università
Veniamo al sistema universitario. Chi diavolo erano, domanda il prof, i sofisti che ci hanno convinto che non fosse razzista la segregazione razziale nei dormitori e nei save spaces (“spazi sicuri”) o l’uso della razza come arbitro delle ammissioni e delle assunzioni? Nei bei tempi andati, rincara la dose VDH, il presidente della Harvard Corporation era un illustre studioso e intellettuale, in linea con l’autostima di Harvard come l’università più importante del mondo… [CONTINUA A LEGGERE]
Categorie:america, anglosphere

“Odia l’umanità”. Ecco come Soros cerca di distruggere da dentro l’America

12 novembre, 2023 Lascia un commento

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTCICOQUOTIDIANO del 12/11/2023:

Immaginate che qualcuno voglia distruggere la civiltà occidentale e il suo baluardo, cioè l’America, i suoi valori, le sue tradizioni e le sue istituzioni – ebbene, a lume di logica questo qualcuno agirebbe/avrebbe agito diversamente da George Soros? La risposta, per noi gente normale, non ammalata di sinistrismo e lontana anni luce dal verbo woke, che squassa un po’ tutto il mondo anglosassone e cinge d’assedio anche l’Europa occidentale, è chiaramente “no”. E da qualche giorno il ceo di Tesla, nonché l’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, ha deciso di farci sapere che la pensa allo stesso modo.

Ebbene sì, anche a 93 anni suonati George Soros fa ancora parlare (malissimo) di sé. Alle spalle una lunga carriera di finanziere scroccone e ammazza-banche di Stato (Bank of England e Banca d’Italia, 1992), e ciononostante “filantropo” secondo la narrazione dei media “de sinistra”, molti dei quali da lui foraggiati, il vecchione riesce ancora a meritarsi titoloni e, appunto, giudizi taglienti.

La tesi di Musk 

Ma che ha detto Elon Musk? Nientemeno che questo: “Secondo me, [Soros] fondamentalmente odia l’umanità“. Il gentile apprezzamento è stato pronunciato durante un’apparizione al podcast The Joe Rogan Experience. “Sta facendo cose che erodono il tessuto della civiltà”, ha spiegato, tipo “fare eleggere procuratori distrettuali che si rifiutano di perseguire il crimine”.

Questo succede a San Francisco, a Los Angeles e in altre importanti città degli Stati Uniti. Ovvio il motivo per cui Soros preferisce utilizzare la sua Open Society Foundations per incidere sulle elezioni locali invece che sulle campagne nazionali: una volta che tieni in pugno i procuratori distrettuali della città e dello stato, il gioco è fatto. “Soros si è reso conto che in realtà non è necessario cambiare le leggi; devi solo cambiare il modo in cui vengono applicate; se nessuno sceglie di far rispettare la legge – o la legge viene applicata in modo differenziato – è come cambiare le leggi”…. [CONTINUA A LEGGERE]

Categorie:america, anglosphere

GAZA, ECCO COME LA SINISTRA CORRIMPE IL LINGUAGGIO PER ACCUSARE ISRAELE

30 ottobre, 2023 Lascia un commento

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTCICOQUOTIDIANO del 25/10/2023:

Lo storico greco Tucidide ci aveva avvertito 2.400 anni fa: quando i venti di guerra infuriano tempestosi e i tempi sono di grandi sconvolgimenti sociali, come durante la sanguinosa guerra civile a Corcira (427 a.C), le parti che si fronteggiano fanno in modo che le parole cambino il loro significato ordinario e ne assumano uno di comodo (vedere la citazione integrale in coda all’articolo). Ciò, naturalmente, al fine di mascherare cattive intenzioni e programmi politici altrimenti indigesti.

Ebbene, quanto sopra è più o meno ciò che sta accadendo in svariati settori della vita delle poleis dei nostri giorni. Se n’è accorto già da tempo un osservatore attento di geopolitica contemporanea nonché affermato classicista e storico militare come Victor Davis Hanson, il quale ha fatto nei giorni scorsi un elenco di espressioni che sono andate mutando di significato in tempi recenti, con precisi riferimenti ai recenti drammatici – e orrendi – sviluppi della crisi israelo-palestinese. Ecco qualche esempio.

Discriminazione razziale

“Come la maggior parte delle calunnie di sinistra”, nota il professore, questa espressione “riflette una proiezione. I cittadini arabi in Israele – oltre la metà dei quali sono musulmani – votano, si candidano alle elezioni e hanno organizzato partiti politici. Essendo un quinto della popolazione, godono di maggiore sicurezza, prosperità e libertà rispetto ai loro omologhi nelle nazioni arabe circostanti”.

Ora, possiamo immaginare residenti cristiani o ebrei non arabi di Gaza che votano, si candidano a una carica, formano partiti politici o criticano Hamas? Chiaramente no, argomenta Hanson. E se parliamo di apartheid non si fa fatica a constatare che l’accusa si applica perfettamente ad Hamas, il quale considera chiunque non sia arabo musulmano come inferiore e da tenere fuori da Gaza.

Cessate il fuoco

Oggi un’espressione con connotazioni quasi magiche, che solleva speranze e nutre illusioni di pace. Ma a ben vedere, che cosa sono i cessate il fuoco se non “semplici momenti di pausa per una o entrambe le parti per rifornirsi e riarmarsi freneticamente per i round due, tre, quattro”?

Eppure, dovremmo sapere che una tregua o un armistizio raramente pongono fine al conflitto una volta per tutte. In definitiva, corregge il tiro Hanson, “le guerre – anche quelle che durano decenni – finiscono quando una parte perde e l’altra vince (spesso più chiaramente attraverso una resa incondizionata), o entrambi subiscono perdite così disastrose che ciascuno crede che la vittoria sia irraggiungibile e che in futuro continuerà ad essere tale”.

Sproporzionato

Qui Hanson la mette giù dura: “qualcuno può ricordare una guerra vinta con misure proporzionate?” Il fatto è, argomenta il professore, che “quando la guerra è proporzionata, molto spesso si trasforma in una Stalingrado – o forse in un’Ucraina – finché una delle parti non trova una risposta sproporzionata che trasformerà la stasi infinita in vittoria”.

E infine il colpo da KO: Quale sarebbe una risposta proporzionata all’uccisione di mille civili? “Secondo la logica della proporzionalità, lo Stato israeliano dovrebbe poi invadere Gaza e allo stesso modo uccidere un migliaio dei suoi civili? L’intero concetto di una risposta proporzionata ad un massacro non provocato di donne e bambini addormentati nelle loro case e durante un periodo di pace è assurdo”… [CONTINUA A LEGGERE]

Categorie:Uncategorized

Trump avanti, ma ecco perché non può sottovalutare Ron DeSantis

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTCICOQUOTIDIANO di oggi:

Credo che non ci sia un solo conservatore americano che non ricordi a memoria le famose parole di Ronald Reagan: “The nine most terrifying words in the English language are, ‘I’m from the government, and I’m here to help’” (“Le nove parole più terrificanti nella lingua inglese sono: ‘Sono del governo e sono qui per aiutare’”).

La minaccia woke

The Gipper le pronunciò mentre l’America stava annegando in una tassazione punitiva e in una gabbia di regole e contro-regole spaventosa ed esagerata – almeno per gli americani, bazzecole per noi italiani, ça va sans dire. Ebbene, hanno perfettamente ragione coloro i quali osservano che oggi come oggi la maggiore minaccia che il popolo americano deve affrontare è la metastasi dell’ideologia woke, sponsorizzata a suon di miliardi di dollari dalle élite che imperversano in tutte le principali istituzioni della vita politica e civile americana.

Altrettanto indubitabile è il dato di fatto che nessuna figura politica di rilievo in tutta l’America ha compreso meglio di Ron DeSantis questa realtà. Non solo: egli è l’unico che sia passato all’azione con tutto il peso e la forza datagli dagli elettori, e questo ripetutamente e senza riserve.

Che si tratti di Teoria critica della razza o di indottrinamento dell’ideologia di genere nelle aule scolastiche e universitarie o nei consigli aziendali, DeSantis ha adottato misure decisive per difendere la sanità mentale della civiltà e limitare o proscrivere apertamente la diffusione dei principi corrosivi del wokeismo.

La legge sui diritti dei genitori

Ovviamente i critici “de sinistra” – ma anche qualche libertarian – hanno levato i loro alti lai accusandolo di aver implementato un’agenda “di estrema destra” nel Sunshine State (la Florida, stato di cui DeSantis è governatore dal 2019). Per dire, la legge sui diritti dei genitori nell’istruzione, che la sinistra ha immediatamente soprannominato la legge Don’t Say Gay (“Non dire gay”), ha fatto stracciare le vesti a sindacati e attivisti.

Il disegno di legge originale vietava agli insegnanti della Florida dall’asilo alla terza elementare di discutere l’orientamento sessuale e l’identità di genere, ma poi – orrore! – è stato ampliato in modo da coprire gli studenti fino all’ottavo anno, e infine – una tragedia! – ad aprile è stato esteso all’intero percorso (K-12)!

Ad aggravare la situazione, la legge prevede – udite! udite! – che gli insegnanti che violano il divieto potrebbero perdere le loro licenze di insegnamento, per non parlare della messa al bando dei libri per bambini che menzionano questioni Lgbtq!

Lo scontro con Disney

Ma il “Don’t Say Gay” non ha fatto indignare soltanto sindacalisti e attivisti: la componente Lgbtq dell’azienda più importante e maggior datore di lavoro della Florida, The Walt Disney Companysi è messa di traverso e… [CONTINUA A LEGGERE]

School Choice: come scardinare l’egemonia culturale della sinistra

 

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTCICOQUOTIDIANO di oggi:

 

“Se diventasse chiaro che i bambini ottengono i migliori risultati nelle scuole scelte e persino gestite dai propri genitori, il pubblico sarebbe aperto a ripensare l’erogazione di altri servizi pubblici, dal welfare all’assistenza sanitaria”

Bisogna sentirla, Randi Weingarten, presidente dell’American Federation of Teachers (Federazione americana degli insegnanti), forte di 1 milione e 700 mila membri, quando alza la voce contro i genitori e i politici che osano mettere in discussione lo strapotere di insegnanti iper-politicizzati e ovviamente “de sinistra”.
Chi ha politicizzato la scuola
Quelli, insomma, che hanno monopolizzato il sistema educativo americano per decenni, trasformando le aule scolastiche in casse di risonanza delle loro idee, nonché fabbriche del consenso per il Partito Democratico. Ovviamente loro, gli “insegnanti democratici”, non indottrinano, non impongono nulla, non fanno il lavaggio del cervello a nessuno, bensì stimolano e nutrono “il pensiero creativo di cui i nostri studenti hanno bisogno” (parola di Weingarten).
Lascia basiti la faccia di tolla con la quale questa signora – definita recentemente da Mike Pompeo “il volto più visibile della distruzione della scuola americana” e “la persona più pericolosa del mondo” – proclama che “ciò di cui [i nostri studenti, ndr] non hanno bisogno è un’aula politicizzata in cui i Repubblicani perfidi e cattivi mettono i vicini contro i vicini, censurano lezioni di storia, scienze e studi sociali accurate e adeguate all’età…”.
Insomma, i censori non sono gli insegnanti radicalizzati e woke che tutti noi che cerchiamo di seguire quello che accade dall’altra parte dell’oceano abbiamo imparato a conoscere, ma i genitori che si ribellano e i legislatori à la Ron DeSantis e Greg Abbott che scendono in campo per tutelare il diritto delle famiglie a un’educazione degna di questo nome per i bambini e i giovani americani.

Lo School Choice
Ma se Weingarten ha il dente avvelenato a tal punto da cambiare le carte in tavola con tanta disinvoltura la si può anche capire, umanamente parlando, come si evince facilmente dalla lettura di un articolo pubblicato su The Spectator (U.S. Edition) nei giorni scorsi e che è per vari aspetti sorprendente.
L’argomento è quello che gli americani chiamano “school choice” (letteralmente: scelta scolastica, scelta della scuola), un’espressione che indica le opzioni educative che consentono agli studenti e alle famiglie di scegliere alternative alle scuole pubbliche.
Oggetto di accesi dibattiti in vari Stati americani, lo school choice è oramai un vero e proprio movimento sociale e politico, il cui scopo è ovviamente quello di implementare queste “opzioni educative” nei vari distretti scolastici operanti nei singoli Stati.
Una minaccia per i Dem
Ebbene, l’autore dell’articolo, Lewis M. Andrews, non usa molti giri di parole per esternare la sua tesi, che riguarda quella che secondo lui sarà probabilmente la conseguenza politica principale dello school choice: la fine del Partito Democratico… [CONTINUA A LEGGERE]
Categorie:america, partiti

Sinistra woke, la più distruttiva di sempre

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTICOQUOTIDIANO di oggi.

Un pluripremiato teorico politico, Yoram Hazony, spiega magnificamente da dove viene fuori e qual è il Dna filosofico, politico e culturale di quella che siamo soliti definire sinistra woke. Lo ha fatto in un libro, Conservatism: A Rediscovery, uscito alla fine di agosto dell’anno scorso e ambiziosamente finalizzato a fornire una nuova base teorica per il conservatorismo.

Un marxismo camuffato

La narrazione di Hazony mostra come “l’egemonia del liberalismo illuminista” sia andata a farsi benedire per lasciare il posto ad un marxismo camuffato – cioè il “progressismo” nella sua formulazione woke. Dunque, accomunare o marchiare come marxisti tout court i promotori della cosiddetta cancel culture, gli attivisti di BLM (Black Lives Matter) e i seguaci della CRT (Critical Race Theory, “teoria critica della razza”) è quanto meno impreciso se non azzardato. Questo approccio è spiazzante per i tanti che si erano fidati della vulgata corrente soprattutto nel mondo anglofono.

L’intuizione marxiana che le categorie che i liberali usano per costruire la loro teoria della realtà politica (libertà, uguaglianza, diritti e consenso) siano insufficienti per comprendere il dominio politico, spiega Hazony, mantiene la sua centralità.

La ricerca di una nuova classe di oppressi

Come il marxismo, la sinistra woke divide l’umanità in oppressori e oppressi, e vede lo stato come uno strumento di potere che dovrebbe essere adattato ai bisogni dei presunti oppressi. Ma essa ha abbandonato la prospettiva socioeconomica della vecchia teoria marxista, e cioè che le persone formino invariabilmente classi o gruppi coesi e il fatto che queste classi o gruppi invariabilmente pratichino l’oppressione e lo sfruttamento reciproco, con lo stato che funziona come uno strumento della classe degli oppressori.

La sinistra woke continua tuttavia a immaginare la realtà secondo linee simili, però ha sostituito gli antagonismi socioeconomici (che si esprimono come conflitto di classe) con qualcos’altro e senza rinunciare alla soluzione rivoluzionaria.

La Scuola di Francoforte

Per comprendere questo salto di qualità, prosegue il ragionamento di Hazony, occorre capire cosa ha rappresentato il contributo della Teoria Critica praticata nella Germania tra le due guerre dalla Scuola di Francoforte (Horkheimer, Adorno, Marcuse, Habermas… per citare soltanto alcuni).

Invece di evidenziare la lotta di classe incentrata sulla proprietà dei mezzi di produzione, i teorici critici parlavano di combattere il pregiudizio e… aumentare la soddisfazione erotica! Tra i teorici della Scuola di Francoforte, infatti, si fece strada il tentativo di assimilare il marxismo a una variante della psicologia freudiana. E nell’opera di Herbert Marcuse il socialismo marxista si fonde appunto con la visione della sessualità polimorfica… [CONTINUA A LEGGERE]

Roald Dahl: respinto l’ennesimo assalto woke

Il mio pezzo su NICOLAPORRO.IT/ATLANTICOQUOTIDIANO di oggi.

È appena scoppiato il caso della ristampa dei romanzi di James Bond che, come informa The Telegraph, offrirà ai lettori una revisione che include la cancellazione dal testo di quei vocaboli che potrebbero suscitare polemiche per la loro presunta “inappropriatezza” (leggi: razzismo).

Contemporaneamente, si è chiusa (o quasi) una vicenda analoga, quella delle opere di Roald Dahl, sottoposte anche loro a una censura in puro stile woke. In attesa di vedere come si concluderà l’operazione “ripulitura” dei romanzi di Ian Fleming dai termini ritenuti razzisti, può essere istruttivo ripercorrere le tappe del caso Dahl, dagli esordi scoppiettanti alla mesta conclusione.

Linguaggio ripulito

“Roald Dahl non era un angelo, ma questa censura è assurda. Puffin Books e gli eredi di Dahl dovrebbero vergognarsi“, ha twittato qualche giorno fa il romanziere americano-britannico-indiano Salman Rushdie in risposta a Suzanne Nossel, ad di Pen America, organizzazione nonprofit per la difesa della libertà di espressione negli Stati Uniti. Nossel aveva affermato di essere “allarmata” per centinaia di modifiche alle opere di Roald Dahl “nel presunto tentativo di ripulire i libri da ciò che potrebbe offendere qualcuno”.

Come riportato per la prima volta dal Daily Telegraph, “il linguaggio relativo al peso, alla salute mentale, alla violenza, al genere e alla razza è stato tagliato e riscritto“. Ad esempio, la parola “grasso” è stata tagliata da ogni nuova edizione dei libri, mentre la parola “brutto” è stata eliminata.

Di conseguenza, Augustus Gloop in Charlie e la fabbrica di cioccolato è ora descritto come “enorme” (invece che “enormemente grasso”) mentre in The Twits, la signora Twit non è più “brutta e bestiale” ma solo “bestiale”. Anche il termine “pazzo” è stato eliminato.

Oltre alle numerose modifiche apportate al testo originale, sono stati aggiunti alcuni passaggi non scritti da Dahl. In The Witches, un passaggio che spiega che le streghe nel libro sono calve sotto le loro parrucche ora include una riga che dice: “Ci sono molte altre ragioni per cui le donne potrebbero indossare parrucche e certamente non c’è niente di sbagliato in questo”… [CONTINUA A LEGGERE]

Categorie:Uncategorized